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Dott.ssa Emilia Morelli

Il lato positivo della TRISTEZZA


Questa mattina è stato per me veramente difficile trovare le energie per alzarmi dal letto e iniziare la giornata. Diversi pensieri e sensazioni mi trattenevano sotto il caldo piumone! A voi capita mai?

La prima ragione che mi spingeva a stare sotto le coperte è stata il tempo: dalle tende filtrava una luce fioca, profeta di una giornata nuvolosa e cupa, una di quelle che ti stimola, certo… Ad abbandonare ogni buon proposito!

Un’altra ragione per la quale avrei preferito restare nel letto è che oggi è lunedì, e il pensiero di dover affrontare un’altra settimana impegnativa, carica di sfide e di chilometri in auto, sinceramente mi sconforta e mi stimola ad aggrapparmi al cuscino il più possibile.

Infine, non è un lunedì come tanti altri. Ma è il terzo lunedì di Gennaio!

Non vi viene in mente nulla? Blue Monday, probabilmente il giorno più triste dell’anno. “Probabilmente!” perché non vi è alcun fondamento scientifico per questa affermazione, nessuna ipotesi confermata dal metodo del caro Galileo Galilei.

Tuttavia, credo che lo psicologo inglese, Cliff Arnall, che ha individuato questo il giorno più triste dell’anno, ci ha offerto, su un bel vassoio d’argento, la possibilità di parlare della tristezza, senza tabù.

Senza tabù, il che non è semplice. La tristezza è un’emozione molto intima, perciò è anche molto difficile parlarne e condividere con gli altri le motivazioni e i pensieri che la suscitano. Tra l’altro, una persona che prova tristezza, in questo mondo in cui efficienza e dinamicità sono le chiavi per accedere alla società e al lavoro, preferisce mentire piuttosto che mostrarsi in un momento di debolezza.

È molto meglio fingere di non sentire (con il rischio di abituarsi davvero a non sentire più nulla), o di sentire solo gioia. La tristezza è noiosa, spiacevole e per i deboli. La gioia è il rovescio della medaglia che piace a tutti perché è UP, eppure, non può esserci una reale gioia senza una reale comprensione della tristezza.

Perciò se vi va di osservare da una prospettiva positiva la tristezza continuate a leggere!

Da dove nasce la tristezza?

Le nostre prime sperimentazioni della tristezza risalgono ai momenti in cui la mamma, o la persona che si è maggiormente presa cura di noi, si allontana. La tristezza ha origine nella percezione di perdita.

È un dolore profondo e radicato, che ci rende deboli e piccoli, come quando la mamma ci lasciava in asilo per la prima volta. Non lo ricordiamo più quell’evento, ma le emozioni hanno più facilità di accesso alla memoria a lungo termine, perciò quando viviamo esperienze che ci suscitano emozioni simili, si rievocano in noi quelle stesse sensazioni: nel caso della tristezza percepiamo la debolezza, l’impotenza e il dubbio. Ci sentiamo appesantiti, immobilizzati, proprio come me questa mattina nel letto.

A cosa serve?

Ogni emozione ha una funzione, ogni emozione ci permette di affrontare la vita, perché le emozioni sono adattive!

Goleman, nel suo libro “Intelligenza emotiva”, sostiene che la tristezza serviva ai primi uomini, per restare nei rifugi quando erano più vulnerabili. La tristezza ci dà la possibilità di fermarci, di stare nel dolore per comprendere quali saranno gli effetti dell’evento scatenante sulla nostra vita. Come tutte le altre emozioni, anche la tristezza è universale: la morte di una persona cara suscita in tutti gli uomini universalmente tristezza e dolore, ma ognuno esterna la propria tristezza in modo peculiare, fortemente influenzato dalla cultura in cui vive.

Come agiamo quando siamo tristi?

Agire è sinonimo di fare, muoversi, ma quando siamo tristi il bisogno di fare è molto lontano da noi, perciò quel che realmente facciamo è fermarci.

Stiamo nel dolore, se riusciamo a darci il permesso di farlo. In questa condizione di stare possiamo avere due tendenze (attenzione, l’una non esclude l’altra): ci isoliamo per raccogliere i pezzi e segnaliamo agli altri il nostro bisogno di essere accuditi.

Restare più a lungo sotto le coperte mi sembra un’ottima metafora da utilizzare per descrivere lo “stare” e l’isolamento. In quel momento, sotto il nostro piumone, siamo protetti dal mondo che ci ha tolto qualcosa, abbiamo la possibilità di “raccogliere i pezzi”, di riflettere e analizzare a fondo ciò che ci è successo e perché ci sentiamo così deboli. È il momento in cui diamo senso e significato al dolore che stiamo provando. È come se avessimo finalmente, per un momento, la possibilità di fermare la nostra corsa, poter osservare il nostro percorso, le difficoltà che abbiamo affrontato e gli errori che abbiamo fatto.

Non è facile avere il coraggio di fermare tutto, di concedersi del tempo, anche solo un momento in più, per vivere la propria tristezza. È importante darci questa possibilità: capire quali sensazioni fisiche viviamo nel momento in cui siamo tristi, cosa abbiamo perso, per quali ragioni. È importante sapersi fermare per poter ripartire, per poterci stimolare a fare di meglio, cambiare per raggiungere un nuovo equilibrio e una sincera serenità.

Abbiamo veramente bisogno di questi momenti di contatto con la nostra tristezza, perché così ci stiamo dando la possibilità di comprendere profondamente alcuni aspetti della nostra vita che spesso ci sfuggono. I momenti di malinconia ci aiutano ad essere più attenti e concentrati una volta recuperate le energie, e solo questa promessa dovrebbe aiutarci a non sfuggire più alla tristezza.

La seconda tendenza è la ricerca di accudimento. Condividere la propria tristezza alleggerisce il cuore. La mamma che ci consola perché ci siamo fatti “la bua”, la coinquilina, l’amica, il compagno, il marito che si accorgono che quel giorno fai fatica ad alzarti dal letto, il collega che a lavoro ti vede poco attento, assorto nei tuoi pensieri. Il sostegno di qualcuno che sappia leggere la nostra tristezza e ci aiuta a viverla con coraggio, ridimensiona il dolore, e ci fa capire che è momentaneo, che si può superare. È importante non bloccare i messaggi verbali e non verbali rispetto la nostra tristezza, specialmente nei confronti delle persone che amiamo, perché sono utili a farci proteggere nel momento in cui siamo più deboli e in cui stiamo raccogliendo le forze per ritrovare l’equilibrio.

La tristezza è un’emozione molto utile, spinge a prenderci cura di noi stessi, ci rende più riflessivi e anche più empatici. Tuttavia una tristezza intensa e duratura, come la depressione è ovviamente un disordine serio e distruttivo, da non sottovalutare e da affrontare con gli specialisti.

La tristezza è un’emozione che ci rende momentaneamente vulnerabili, un’emozione che ci permette di concederci una pausa dalle corse di tutti i giorni per comprendere se la direzione delle nostre azioni è giusta, se ci fa bene. Ignorarla, allontanarla da noi senza averla affrontata davvero potrebbe limitare la nostra prospettiva sulla realtà e non stimolarci a uscire dalla nostra zona di comfort e non dare a nessuno la possibilità di condividere il dolore, la perdita, restando imprigionati nella paura della tristezza.

“Non serve a niente una porta chiusa…

La tristezza non può uscire e la gioia non può entrare!”

Luis Sepulveda

E adesso posso iniziare questo Blue Monday!


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